“Mi sentivo piena, gonfia. Bloccata dal troppo cibo che avevo assunto, forse dal
troppo zucchero che avevo in corpo e frustrata per l’immagine che sapevo il mio
specchio poi rifletteva. L’immagine di una ragazza profondamente triste, che si
vedeva in sovrappeso o in sottopeso a seconda di giorni o di periodi,
amareggiata, delusa, arrabbiata, nervosa, in colpa. Piena di schifezze appena
ingurgitate, di cui non ricordavo nemmeno la forma ed il sapore, la solidità o
la freddezza, se fossero dolci o salate, o se avevo ingurgitato dolce e salato
insieme. Piena di schifezze in pancia e senza una fame reale scatenante.
Il cibo, soprattutto quello
sporco, è una colpa. Lo compro di nascosto perché non voglio che lo vedano, è
un mio segreto, lo nascondo, me ne abbuffo, lo nascondo di nuovo, mi sento
piena e triste, in colpa.
Mangio sempre, senza controllo,
per insoddisfazioni, ansie, nervosismo, frustrazione, sfogo, per compensazione.
Non c’è un giorno particolare, non ci sono feste compleanni che tengano, ogni
giorno è un giorno per abbuffarmi e sentirmi in colpa per non essere stata
capace di fermarmi, per non essere stata forte, più forte.
Mi sento in colpa, ho vergogna,
non mi sento all’altezza di chi riesce a mangiare e non ripulire il
frigorifero, penso di essere inferiore perché incapace di non mangiare
cioccolata e subito dopo patatine o di non riuscire a controllare quell’attacco
di fame estenuante, che capisco ha poco a che fare con la vera fame
fisiologica. Ma non riesco, non lo controllo, mi abbuffo, e mi sento ancora più
triste, più in colpa, più vergognata di chi sono e cosa faccio.
Ho contattato una dottoressa, mi
ha dato una dieta e mi sembra efficace, interessante, vado quindi al
supermercato, compro il necessario. Per due o tre giorni rispetto il piano
alimentare ma devo andare in università ed i compagni il pomeriggio mi
ricordano che tra un mese c’è l’esame.
Il giorno successivo ci ricasco,
apro il frigorifero e lo svuoto, di nuovo, vergogna, ansia, disgusto verso me
stessa perché ero riuscita, non mi ero abbuffata per 3 giorni, sono proprio una
nullità, non ce la faccio.
Sono passati tre mesi, non ho più
seguito il piano alimentare, non ho più contattato la dottoressa, non ho più
organizzato la settimana e gli alimenti. Mi sono solamente abbuffata e sentita
in colpa. In un momento di serenità
ricontatto la dottoressa che mi spiega che è normale, è un successo se mi
abbuffo solo 3 volte in settimana se prima erano 7 su 7. Mi spiega che è un
percorso lento, doloroso, ma che devo essere felice di aver ridotto le
abbuffate.
È la prima volta che sento un’emozione
positiva, che ho fatto qualcosa di buono, che noto di averlo fatto io. Mi sono
sì abbuffata, ma mi sono abbuffata meno e da qui riparto”.
Questi
sono i pensieri, sentimenti, emozioni di chi soffre di un disturbo purtroppo
attualmente in crescita e troppo sottaciuto a causa dei sentimenti di
autosvalutazione che porta con sé. Chi soffre di abbuffate spesso non lo dice,
si nasconde, lo fa di notte o quando è solo.
COS’È
UN’ABBUFFATA? COS’È IL BINGE EATING?
Con
il termine abbuffata si intende un
comportamento incontrollato che porta all’ingestione di una grande quantità di
cibo, molto superiore a quella che la maggior parte delle persone mangerebbe in
circostanze simili. La diagnosi è prevista qualora il comportamento
alimentare scorretto sia presente almeno una volta a settimana per almeno 3
mesi; la gravità dello stesso è valutata in relazione alla frequenza degli
episodi: da lieve con 1\3 episodi a settimana a estrema con 14 o più episodi di
abbuffate per settimana. Tendenzialmente
si verifica in soggetti normopeso, sovrappeso o obesi, non è caratterizzato da condotte di espulsione ed è correlato ad un
aumento di peso. È generalmente
caratteristico di soggetti adolescenti o in prima età adulta, tuttavia in
taluni casi si presenta in età avanzata. Caratteristico di questo disturbo è il
giungere all’attenzione del clinico più
tardi rispetto ad altri disturbi del comportamento alimentare poiché a
primo acchito non si associa a queste condotte un disagio emotivo, promuovendo
quindi l’adozione di “diete fai-da-te” che spesso risultano controproducenti. Il comportamento incontrollato è seguito da
sentimenti negativi come vergogna e la
sensazione di perdere completamente il controllo delle proprie azioni,
salato e dolce hanno lo stesso sapore.
I
soggetti che si abbuffano si alimentano in modo differente da soggetti affetti
da bulimia o obesità, poiché per i soggetti affetti da binge eating il cibo è sia un alleato che un nemico,
è colui che consola e che subito dopo fa provare sensi di colpa profondissimi, associati
anche a chili superflui. Il soggetto che si abbuffa vorrebbe avere infatti
l’effetto positivo dell’abbuffata senza quello negativo dell’aumento di peso.
Il comportamento tipico successivo all’abbuffata è infatti molto diverso
dall’atteggiamento riscontrato in altri disturbi del comportamento alimentare.
In soggetti che si abbuffano prevale la
passività, l’ineluttabilità del proprio destino, lo sconforto. Non c’è mai
il tentativo di ripristinare lo stato antecedente, pertanto è un atteggiamento più simile al depresso
che al bulimico, tantomeno all’anoressico.
Spesso
è una dieta incongrua che causa un’abbuffata, in particolare sono le emozioni negative associate alla
privazione del piacere del cibo che causano un comportamento disfunzionale
oltre che alla constatazione della difficoltà a perdere peso. L’intolleranza alle emozioni,
negative ed anche positive, è un costrutto fondamentale per la comprensione di
tale disturbo.
QUANTO
CONTANO LE EMOZIONI NEL BINGE EATING?
La
regolazione emotiva è l’abilità di
gestire e rispondere in maniera efficace agli eventi della vita, siano essi
straordinari o quotidiani. Indica i processi a cui ricorriamo per influenzare
le nostre emozioni per viverle ed esperirle in maniera funzionale. Gli studi
condotti in merito evidenziano che le
abbuffate tendono momentaneamente a migliorare l’umore del soggetto,
tuttavia sul lungo termine l’incremento ponderale di cibo ingerito contribuisce
a ridurre l’autostima e il senso di
efficacia personale. Ci si sente inadeguati e impotenti, aumentano le
emozioni negative, la vergogna, la colpa e la tristezza, emozioni che portano
il soggetto a nuove abbuffate. L’abbuffata avviene generalmente a seguito di
emozioni quali noia, tristezza, rabbia, oppure a seguito di emozioni positive
molto intense.
L’abbuffata
spegne temporaneamente la sofferenza.
È una strategia deleteria sul lungo termine perché sopprimere un’emozione porta
la stessa a riemergere in forma diversa e più forte di prima; il tentativo di
sopprimerla la rinforza e la fissa.
Una
caratteristica del pensiero dei soggetti che si abbuffano è la ruminazione, comportamento che porta il soggetto a pensare e
ripensare continuamente agli eventi che hanno provocato quelle emozioni
negative in maniera astratta e non finalizzata, come tentativo di comprendere e
risolvere il problema. Il ruminare non è né efficace ne risolutivo poiché
provoca ulteriori sentimenti di indecisione e insicurezza.
Chi
soffre di binge eating sente come se vivesse in una prigione di cui non vede le
pareti della cella ma ne sente chiaramente gli effetti deleteri e distruttivi.
È fondamentale il supporto esterno, famigliare e sociale, affinché il soggetto
possa osservare il circuito disfunzionale di cui è vittima e si affidi al
personale competente per mettere in atto un intervento multidisciplinare in
funzione della risoluzione del problema che, se affrontato, è risolvibile.
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